Main e la casa della felicità


Ritratto di Gaia Insenga, attrice-acrobata

Gaia Insenga fa teatro da sette anni, da quando è entrata all´Accademia Nazionale d´Arte Drammatica. Un percorso serio, non convenzionale. È uscita allo scoperto con Purificati di Sarah Kane che il regista Marco Plini ha collaudato alla Biennale di Venezia, con un Antonio e Cleopatra di Civitati al Litta di Milano, con Looking at you (revived) again di Motton con regia di Marcello Cotugno, e poi è entrata a far parte della factory di Barberio Corsetti per il citato adattamento epico che ha avuto, dopo il Festival di Ortigia, un destino televisivo e un´altra edizione al Festival di Villa Adriana. Adesso è reduce da E,ù,carestia? di Benedetto Sicca prodotto dal Nuovo di Napoli, lavoro visto alla Cometa Off. Oltre all´Accademia, è cresciuta con laboratori di Emma Dante, Paolo Zuccari, Nikolaj Karpov.

Gaia Insenga, lei sembra un´attrice d´altri tempi o una candida androide, tale è la sua compostezza ridente. Come ha scelto di gettarsi in pasto al pubblico, lei così delicata e discreta?
«Aggettivi belli, i suoi, ma si tratta anche di doti tremendamente fuori moda. Il teatro si sta adeguando a tipi diversi da me, in termini estetici e di comportamento. Si sta affermando un altro genere. Nei provini non vince la particolarità ma lo stereotipo della ragazza alta, bellona e tettona. Io devo tutto alla mia professoressa d´inglese che a scuola mi faceva leggere i Sonetti di Shakespeare, e a quella d´italiano che ha avuto il coraggio di portarmi a vedere I fratelli Karamazov di Ronconi all´Argentina. Dopo i Sonetti ho divorato tutto Shakespeare. E dopo Ronconi ho fatto un abbonamento a teatro».


Questi sono i primi sintomi. E cosa l´ha convinta a studiare e a fare lei stessa teatro?
«A 16 anni sono andata da mia madre e ho detto "Voglio fare un laboratorio di teatro", ho preso La Repubblica e a caso ho puntato il dito su un´inserzione di una scuola di teatro privata che faceva dei corsi al Colosseo. Da Mostacciano, vicino l´Eur, prendevo il mio motorino e andavo al corso. Al laboratorio c´erano uomini anche di 50 anni, un ingegnere, un fisioterapista, una hostess dell´Alitalia. In quelle due ore tutti eravamo uniti in un altro mondo. Mi dava gioia, la cosa. Facemmo il primo spettacolo. Poi è stato naturale continuare, iscrivendomi all´Accademia. M´avrebbero accettato anche alla Paolo Grassi di Milano, ma ho preferito la "Silvio d´Amico"».

Che tipo di attrice, che recitazione, che teatro aveva più in mente?

«All´inizio i miei idoli erano altre giovani artiste come Galatea Ranzi o Manuela Mandracchia che lavoravano con Ronconi. Attrici di parola, con classe straordinaria. Col tempo ho scoperto l´esistenza di altre espressioni, altre formule, altri tipi di ricerca sul campo: i fenomeni di Emma Dante e di Antonio Latella e dei loro attori, quello di Giorgio Barberio Corsetti col suo gruppo di attori-acrobati, o esponenti più individuali come Roberto Latini».

Ma qual è oggi la sua idea di teatro?

«Rischio una definizione antica: un teatro fondato sulla qualità, sulla serietà e su idee forti, un teatro fatto col coraggio di raccontare e raccontarsi».

E che cos´è che in teatro e nella vita la emoziona?
«La semplicità, la fragilità e la generosità nella teoria e pratica del teatro. E la semplicità, la fragilità e la generosità nei fatti della vita. Per me è la stessa cosa, sia nel lavoro con gli altri».
Scusi, ma cosa intende per "fragilità"?
«Penso a quando gli attori si permettono di sbagliare e "cadono" senza rimanere imbalsamati. Nella vita sono quelli che arrossiscono».

Alla sua età, ha ricevuto più soddisfazioni dai vari pubblici di teatro o dall´aver affrontato in una sola sera la popolarità con la versione tv delle Dionisiache?
«Senza dubbio fa piacere che il barista sotto casa ti veda in tv e ti dica "brava", però è per il pubblico presente in sala che si fanno gli spettacoli. Ricevere un applauso da persone che sono uscite di casa per te e hanno fanno un biglietto, è bellissimo».

Il teatro le ha cambiato la vita? Vive diversamente la città, la famiglia?

«Mestiere e vita vanno a braccetto. Più cresco come persona e più riconosco la qualità del lavoro. Diciamo timidamente che il teatro ha avuto influenza: perché è il mio sogno, e il sogno fa ormai parte della mia vita. Sono molto più aperta, curiosa, e critica in maniera sana. Anche con la famiglia va tutto molto meglio: da quando hanno preso a condividere la mia scelta guardandola attraverso i miei occhi. Mio padre, che lavora in banca, ha iniziato ad andare a teatro, e si sforza di parlarne con me, e questo è un gran risultato, Mio fratello, più grande di me di 5 anni. è il primo ad applaudire e a criticare».

Come sta nella sua città, Roma? Dove la preferisce? Dove ha ora la sua base?

«A volte la odio, Roma. Il suo traffico, le sue file agli uffici, il suo rumore. La amo perché è bellissima, la amo di notte e all´alba. Ha i colori più belli di qualunque città che io conosca. Sono nata a Mostacciano, quartiere residenziale alla periferia sud, e ho vissuto lì fino ai miei 20 anni. Poi sono andata a vivere con un mio amico in affitto vicino alla Stazione Termini, poi ancora al quartiere Monti, e alla fine sono approdata al Testaccio dove ora vivo col mio compagno, che è un attore. Mi piace il Testaccio, perché c´è il fioraio Marcello che ti offre fiori la mattina, il barista che ti prepara il caffè come lo vuoi tu, il giornalaio che ti mette da parte il giornale, una dimensione quasi da paese».

Che teatro, che imprese, che ricerche, e che rapporti artistici le interessano?
«Sicuramente c´è un lavoro sul Don Giovanni ritorna dalla guerra di Horvath con la regia di Alfonso Postiglione, uno studio su Les Adieux di Arianna Giorgia Bonazzi con la regia di Benedetto Sicca. Mi piacerebbe continuare con Barberio Corsetti, e lavorare con Castri, Servillo, Binasco».

Come sente questi nostri tempi?
«La prima risposta è: male. Spero di riuscire a fare il mio lavoro. È un momento difficile per il mondo dell´arte. Persone motivate non trovano una collocazione. Io (e non sono la sola) vado a fare la cameriera quando non lavoro sulla scena».
(05 dicembre 2007)